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Cos'è Splash

Cosè Splash? Un modo di dipingere senza usare i pennelli.

Un solo pennello: il famigerato mouse. Una sola tela: un mucchietto di pixel.

Splash è schizzo, spruzzo, macchia, tonfo.

Splash è un flash: lampo, sprazzo, attimo, fiammata, istante, guizzo, brillio.

E' la Digital Art, un'arte minore rispetto alle più nobili arti dei colori a olio, acquarello...

Sono nato nel 1946 e nel '64, ormai maggiorenne,  non avevo la minima idea di cosa fosse l'informatica. Così, fin dagli anni '70 e oltre, la carta, il legno, la matita, la penna, i colori e Splash! una macchia d'inchiostro. Splash! un disegno geometrico. Splash! la struttura di una forma. Ma era difficile. A volte perfino impossibile realizzare i sogni e le visioni che la mente produce in modo irrefrenabile.

Poi il computer: all'inizio il Commodore, poi una serie di Personal C. e… fiumi di musica (in realtà sono musicista) e di immagini (non sono un pittore).

Il termine "pittore" non mi si addice. Invece mi si addice questo: "Non so disegnare, non so dipingere e non so scolpire. Le mie cose non le tocco proprio. È il vuoto che mi concentra e mi dà delle idee. " (Maurizio Cattelan).

Già, il vuoto. Infatti chi cerca il vuoto trova sempre qualcosa. Il vuoto quantico è un ribollire di coppie di particelle virtuali che si creano e si annichilano continuamente. Il vuoto mentale è un ribollire di idee, intuizioni, suoni, forme e immagini che interagiscono e scompaiono: Splash! Non si raggiunge mai il vuoto mentale assoluto (per fortuna). Se lo si potesse raggiungere, la mente si fermerebbe per sempre (con buona pace dello Zen). Come si fa a decidere di rimettere in moto la mente se non c’è almeno un pensiero? Se c’è un pensiero non c’è il vuoto.

Quindi il “quasi-vuoto” che serve è un foglio a quadretti virtuale sul quale disegnare un “pieno” che in realtà è vuoto. Sono solo campi di forze come in fisica: il “pieno” della materia tangibile che si rivela vuoto. Oppure: “Ciò che ai nostri occhi appare come uno spazio vuoto si rivela alla nostra mente come un mezzo complesso, brulicante di attività spontanea (Frank Wilkzec).

Per me i quadri sono solo forme della mente che descrivono lo spazio (bidimensionale) dove “nulla” è detto perché è questo l’unico modo per cercare di dire “qualcosa”.

L’altra faccia dell’arte è un risvolto pratico. Si dipingeva sui muri delle chiese per abbellirle, per la gloria di Dio e per insegnare e raccontare storie al popolo analfabeta. Il quadro ha dato la mobilità all’arte. Prendi un quadro e lo compri, lo vendi, lo sposti in un’altra stanza, in un altro palazzo (Leonardo si è portato la Gioconda a Parigi). Ma un quadro o un affresco lo fai e poi basta: è finito.

Nel 1949 Fontana ha iniziato a forare e tagliare la tela e l’arte è scappata via da quei fori. Non tutta però. Finché ci saranno muri gli uomini ci appenderanno qualcosa.

La Digital Art (D.A.) può essere diversa: qualcosa in meno e qualcosa in più. E’ un’arte di serie B, fredda, piatta, manca la materia: il colore denso e spesso, la tavolozza grondante di oli e odori, le mani sporche. L’arte digitale è un mondo asettico. Il lavoro sporco lo fanno altri (copisterie, plotter, stampanti). Come diceva Cattelan? “…le mie cose non le tocco proprio”.

Ma D.A. ha anche qualcosa di nuovo. Non tanto la riproducibilità in un numero indefinito di copie che è solo l’aspetto più banale e commerciale. La D.A. ha il Tempo, o meglio: quello “spazio/tempo” che nell’arte tradizionale ha un’unica direzione e che nella D.A. può essere percorso avanti e indietro: si può andare nel passato!  E’ il bivio del Giardino dei sentieri che si biforcano di Jorge Luis Borges che porta ad una proliferazione di strade, di mondi e di tempi paralleli tutti percorribili.

Come spesso succede, strumenti nuovi sono utilizzati in modo vecchio. C’è molta D.A. che viene fatta come se si dipingessero quadri con i pennelli: carrozze col motore al posto dei cavalli.

Piuttosto, nella D.A., c’è una potenzialità: un bivio tracciato nel tempo che consente ad un segno, un colore, un disegno, di proliferare in innumerevoli segni, colori, disegni. Con la D.A. nulla è definitivo, tutto può trasformarsi e rigenerarsi come un mutante. Fai un segno, una forma e subito il bivio: il passo successivo è una strada che si biforca. Non un labirinto che ha una soluzione (il labirinto ha un’entrata e un’uscita, un unico percorso giusto), piuttosto una potenziale struttura ad albero, un sistema generativo autoriproducente. Un “quadro” nella D.A. non è mai “finito”.  E’ solo un’istantanea (un Flash) di un momento vitale con un suo “prima” reale e concreto e una serie infinita di suoi “dopo” virtuali e possibili, limitati solo dalla volontà e dall’energia non infinita della mano che lo produce. Quindi Splash!

In fondo non si tratta che di colorare dei quadratini.

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