top of page
Paolo Bensa | digitalsplashart | arte digitale

Paolo Bensa

nato nel 1946 a Sanremo, vive e lavora a Rivalta di Torino.

E’ musicista e insegnante. Esperto di informatica musicale,  dal 2011 si dedica alla grafica digitale.

L'interesse per la digital art deriva dalla precedenti esperienze di informatica musicale maturate in lunghi anni di lavoro e dalla passione per la grafica coltivata dagli anni '70.

La scoperta delle potenzialità della digital art lo hanno portato a sperimentare una forma espressiva relativamente nuova e ancora poco affermata il Italia.

Molto tempo fa qualcuno, guardando alcuni miei lavori, mi ha detto che non sapevo dipingere. Gli ho risposto che avevo dato il bianco in cucina, quindi sapevo dipingere.

 

Dopotutto spruzzavo colori, scarabocchiavo con una benda sugli occhi o con la mano sinistra, facevo di tutto per eliminare ogni minima traccia residua di quell’abilità, interiorizzata dalla mano destra, che potesse rivelare gli stereotipi dell’educazione scolastica.

 

Qualcosa veniva sempre fuori.

 

Non è poi tanto difficile con i suoni, le forme, le linee, i colori, rompere le regole, ma con il linguaggio no. Pare che le sue strutture, fissate nel nostro DNA, siano già presenti prima della nascita.

​

Il linguaggio (la parola) è la nostra forza e la nostra dannazione. C’è un solo modo di liberarsene: la poesia, oppure trovare un compromesso: spezzarlo in modo da renderlo trasparente.

 

Là, dove la poesia ha, in ogni parola, in ogni frase, mille significati, il “linguaggio spezzato” ha il dovere di essere univoco: inequivocabile.

​

Uno, due, tre, quattro, cinque, …. La serie dei numeri naturali è un infinito un po’ strano. Un tizio comincia a contare: uno, due, tre,… poi finisce quando si stufa o… muore.

 

E’ come una corda con un solo capo. Tengo in mano il capo ma non posso tenere l’altro. Il primo numero è “uno”, qual'è l’ultimo? Se voglio tenere in mano i due capi, devo… tagliare la corda (con le forbici, non scappare).

​

Se metto insieme i numeri interi positivi e quelli negativi (…-3, -2, -1, 0, +1, +2, +3…) ottengo un filo “senza capo né coda”. Tenendo in mano il filo, là dove c’è lo zero, da una parte e dall’altra, il filo va all’infinito. Se taglio il filo, ottengo due fili, ciascuno con un solo capo.

La fotografia è questo: flash!  Taglia il filo del tempo in un qualsiasi punto. “Tiene in mano” i due capi. Fissa un attimo del tempo tra il passato e il presente.

 

La pittura, il disegno, la grafica no.

 

Si dice che la musica sia l’arte del tempo. Anche le arti figurative lo sono. La pittura è come la serie dei numeri naturali positivi (oppure quelli negativi). Ha un punto d’inizio ma non finisce mai, o meglio: non finirebbe mai se non venisse “spezzata”.

 

Un quadro appeso alla parete non è una cosa viva: è il suo cadavere.

 

Il quadro è vivo nel suo divenire (J. Pollock - action painting). E’ un viaggio di cui si conosce solo l’inizio. Non esistono quadri finiti ma solo quadri incompiuti perché spezzati, abbandonati, uccisi.

 

L’ideale dovrebbe essere quello di dipingere un unico quadro che inizia in un certo momento dell’esistenza, continua per tutta la vita del suo autore e muore insieme a lui.

Questo è almeno il mio ideale ma quel quadro non ho mai avuto il coraggio di iniziarlo.

 

Con un compromesso più modesto ho quindi imparato a “sospendere la vita” dei miei quadri, come si fa, almeno nella fantascienza, con i corpi ibernati.

 

Ogni quadro è sospeso e incompiuto, ma può riprendere a vivere, trasformarsi, evolversi. Può anche accoppiarsi con altri quadri (due, tre, quattro… volte) e generare nuove forme, ciascuna con un suo inizio e una sua possibile vita.

 

Se la corda ha un solo capo, non posso afferrare l’altro posso solo tagliarla. Se il quadro ha un solo capo, per afferrare l’altro posso solo dire: “è finito” e con questo ucciderlo o sospenderne l’esistenza.

bottom of page